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I numerosi fallimenti dietologici, che caratterizzano un gran numero di pazienti affetti da obesità e che prendono il nome di “sindrome dello yo-yo”, possono implicare l’instaurarsi di convinzioni che diventano sempre più radicate man mano che aumentano i tentativi fallimentari di dimagrimento.
Queste idee disfunzionali portano a pensare di avere un metabolismo lento o di essere incapaci di rispettare un piano alimentare prescritto in quanto deboli e incapaci di controllarsi, disconoscendo in questo modo la malattia, ovvero l’insieme di sintomi, che causa e perpetua la tendenza a modificare la composizione corporea a favore della massa grassa. La componente genetica in primis condiziona fortemente e provoca alterazioni del comportamento alimentare che sono presupposti per il manifestarsi dell’obesità. A questo si aggiunge il fatto che per il paziente affetto da obesità il bisogno di nutrirsi non è più regolato dai meccanismi fisiologici della fame e della sazietà ma da situazioni ambientali individuali e sociali che portano all’assunzione di cibo di gran lunga differente per quantità e modalità da quella che caratterizza i soggetti normopeso.
Senza la consapevolezza di questi meccanismi la persona affetta da obesità – colpevolizzato dalla società e spesso da certi operatori sanitari che invitano a perdere peso facendo leva solo sulle capacità individuali – si convince che la soluzione al suo problema non è da ricercare nella classe medica ma nella propria volontà o, peggio ancora, cade nella trappola dell’industria delle diete dimagranti.
La terapia medica, prima di tutto clinica e di consulenza educazionale-informativa, trova il suo spazio ben preciso nel trattamento dell’obesità. La diagnosi di laboratorio, con la ricerca di eventuali alterazioni ormonali ( per la verità molto rari) o dismetabolismi, e quella strumentale, con la calorimetria indiretta, la bioimpedenza e la valutazione antropometrica, sono alla base del programma dietologico.
False idee che stabilizzano l’obesità:
- “Ho un metabolismo lento.”
- “Anche se dimagrisco, poi recupererò tutto il peso perso comunque.”
- “Gli altri hanno una forza di volontà maggiore della mia.”
- “Per dimagrire bisogna digiunare.”
- “Spero di trovare un medico o una medicina capaci di guarirmi.”
- “Ho una disfunzione ormonale.”
- “Spero di trovare una dieta che mi faccia dimagrire per sempre.”
Prima di iniziare un programma dietologico bisogna avere chiara la situazione di partenza sia da un punto di vista metabolico che psicologico. L’analisi della composizione corporea quantifica le percentuali dei vari distretti dell’organismo (massa grassa, massa cellulare, acqua extra e intracellulare) e permette di valutare lo stato nutrizionale del soggetto. L’analisi biavector (parametro vettoriale ricavato dalla BIA, cioè la bioimpedenziometria) posiziona inoltre il soggetto nei quadranti nutrizionali di appartenenza: muscolare, obeso, malnutrito, cachettico e fornisce informazioni sullo stato di idratazione. L’intervento nutrizionale, infatti, non è limitato alla perdita di peso, ma alla modifica della composizione corporea che può e deve essere monitorata nel tempo.
In questo modo cade il mito dell’ago della bilancia e del peso ideale e si sposta l’attenzione sulla composizione corporea. L’intervento dietetico sarà pertanto supportato periodicamente da esami strumentali che prescindono dall’idea dell’operatore e della persona affetta da obesità. Un mezzo di valutazione asettico e obiettivo può risultare utile in presenza di idee disfunzionali riguardo il peso e l’immagine corporea. Capita infatti piuttosto frequentemente di abbandonare un programma dietologico perché l’ago della bilancia non si sposta come vorremmo: è necessario chiarire che l’ago della bilancia pesa e si sposta in funzione della massa corporea e non solo del grasso, pertanto situazioni che modificano l’acqua (il ciclo mestruale nella donna) o la massa muscolare (in chi pratica attività fisica) possono mascherare una perdita di massa grassa.
La bioimpedenza permette di valutare lo stato nutrizionale del soggetto che può avere lo stesso peso ma un diverso stato di salute. Nell’obiettivo di perdita di peso corporeo bisogna aggiungere al concetto di quantità (la perdita del 10% del peso corporeo iniziale) quello di qualità di ciò che si sta effettivamente perdendo.
Bisogna inoltre tener conto del cosiddetto “set-point”, ovvero un punto di equilibrio tra massa magra e massa grassa determinato dal nostro organismo alla nascita, che tende a mantenere costante il peso. È piuttosto facile eliminare il peso extra accumulato oltre il set-point, mentre più difficile è sicuramente tentare di contrastare la tendenza naturale e biologica del corpo a tornare all’equilibrio prestabilito, cercando di dimagrire ulteriormente. Si tratta di un fattore genetico che può rivelarsi piuttosto scoraggiante se ci si aspetta un dimagrimento “miracoloso”, per tanto l’analisi della composizione corporea può risultare utile a prefissare un obiettivo realistico e raggiungibile senza particolari frustrazioni.
cosa perdo quando perdo peso?
Un altro punto cardine da chiarire è il fatto che la perdita di peso deve corrispondere alla perdita della sola massa grassa, condizione essenziale per il mantenimento del peso raggiunto. La perdita di sostanza non grassa (massa cellulare, acqua e massa muscolare) minaccia infatti lo stato nutrizionale dell’organismo che si difende con un recupero immediato del peso. L’adattamento metabolico o la resistenza alla perdita di peso altro non è che un meccanismo di difesa per la sopravvivenza della specie.
La condizione essenziale per ottenere un dimagrimento sano è la riduzione controllata delle calorie prescritte che non deve possibilmente scendere al di sotto del dispendio energetico misurato.
Perdite di peso corporeo superiore al 0,5-1 Kg la settimana difficilmente possono garantire questo risultato. Il tempo è la condizione essenziale per modificare la composizione corporea. Nelle prime settimane – con diete standard – si assiste ad una perdita di peso corporeo che interessa in percentuale molto bassa la massa grassa (50%) mentre la si può ottimizzare con una prescrizione mirata. La terapia educazionale o cognitivo-comportamentale non può e non deve prescindere dai dati relativi al dispendio energetico, alla composizione corporea e alla prescrizione dietetica. Va evitato il consiglio generico di ridurre le calorie o di mangiare meno perché si rischia di svuotare di significato la terapia educazionale e di mettere l’individuo in condizione di sviluppare pensieri negativi riguardo il dimagrimento nel momento in cui non raggiunge l’obiettivo desiderato, spesso non realistico e pertanto non raggiungibile.
la persona affetta da obesità ha bisogno di certezze
Essere seguiti durante il programma dietologico non significa avere un medico che controlla severamente il peso, ma un professionista in grado di valutare l’efficacia del programma educazionale e comportamentale, di studiare strategie terapeutiche e di modificarle in corso in base ai risultati ottenuti. La certezza di perdere peso se si segue il programma prescritto è assoluta e ci consente di ottenere i migliori risultati.
Grazie alla calorimetria si può riscontrare di come il soggetto affetta da obesità consumi calorie più velocemente rispetto al soggetto normopeso, per controbilanciarne l’accumulo. Questo dato sfata quindi il mito del “metabolismo lento” e permette al paziente di assumere una quantità normale di calorie. A volte basta questa convinzione per riuscire a perdere peso senza sottoporsi a regimi drastici che finiscono sempre con la perdita di controllo e il recupero del peso perso.
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