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Obesità: un disturbo cronico, recidivo e progressivo
L’obesità può essere considerata un vero e proprio disturbo epidemico, le cui cause principali sono i cibi ad alto contenuto di grassi e zuccheri invece di un virus come nella maggior parte dei casi. Alimentazione eccessiva, scarsa attività fisica e altri fattori ambientali contribuiscono a creare un accumulo energetico che viene immagazzinato dal corpo sotto forma di grasso, causando tutta una serie di problematiche a livello metabolico e ormonale e danni ad organi come cuore, fegato, arterie, muscoli e pancreas.
L’obesità è considerata una malattia?
Per tutto lo scorso secolo si è dibattuto se considerare o meno una malattia l’obesità, per poi iniziare gradualmente ad accettarla come tale a partire dai tardi anni ’70 e arrivare infine alla Dichiarazione di Nagoya del 2015 che l’ha riconosciuta come “stato patologico che può richiedere un intervento clinico”.
La Federazione Mondiale dell’Obesità rappresenta società professionali di ricerca, educazione e cura di diversi paesi, e ha definito l’obesità come un processo patologico cronico, recidivo e progressivo.
Secondo gli studi della Federazione, i pazienti tendono a riprendere fino al 70% del peso perso con le terapie dietetiche nel giro di 4 anni, fino a raggiungere un punto di stabilità difficile da modificare. È stato inoltre osservato che lo sviluppo dell’obesità è progressivo negli anni.
Uno dei fattori che la rendono difficile da sconfiggere è la modificazione ormonale che favorisce l’accumulo di peso, e per cui non si è ancora trovata una terapia compensatoria.
È ormai ben chiaro a tutti che l’obesità rappresenta un ingente costo per la sanità pubblica, abbassando la soglia di mortalità e alzando il rischio di ipertensione ed ipercolestemia. Esattamente come nel caso di questi disturbi, i trattamenti temporanei non producono miglioramenti reali in quanto non sono in grado di andare a modificare i meccanismi biologici che li producono.
Esistono casi di “obesi sani”, ovvero soggetti che non presentano rischi di comorbilità come diabete, ipertensione e dislipidemia, ma possono comunque essere stimmatizzati per il peso in eccesso e sviluppare queste problematiche più avanti nella vita. Il passare degli anni, infatti, è un fattore che influenza pesantemente i rischi per la salute associati ad uno stato di obesità.
L’obesità è considerata un’epidemia?
Si è anche discusso se sia possibile o meno considerare l’obesità un’epidemia. Gli elementi ci sono tutti: un agente, cioè il cibo abbondante e invitante, in grado di stimolare i centri del piacere e creare una dipendenza simile a quella provocata dalle droghe, associato ad una scarsa attività fisica; un ospite, ovvero il paziente che può essere caratterizzato da una predisposizione genetica per cui le sue cellule lipidiche reagiranno più favorevolmente agli stimoli ambientali che portano a prendere peso, e a loro volta produrranno delle modificazioni metaboliche che predispongono il soggetto a fattori di comorbilità e rendono difficili i progressi se non con trattamenti a lungo termine.
Gli effetti dell’obesità
L’ingrandimento delle cellule lipidiche produce gli effetti visibili dell’obesità, come osteoartriti, apnea del sonno e le conseguenze psicosociali del sovrappeso, mentre le modificazioni metaboliche dipendono dalle sostanze da esse secrete e dall’infiammazione del loro habitat. Le conseguenze di queste modificazioni includono innalzamento proporzionale all’aumento di massa corporea dei livelli di insulina e colesterolo, maggior rischio di diabete, colecisti, disturbi cardiovascolari, infarto. Il diabete mellito di tipo 2, in particolare, è dipendente dall’obesità in quanto l’eccesso di peso è in grado di condizionare tanto la secrezione quanto la sensibilità all’insulina. Questa predisposizione viene determinata già in ambiente intrauterino. I feti malalimentati durante la gestazione sono tendenzialmente più proni a ingrassare e sviluppare resistenza all’insulina e diabete.
Il tessuto adiposo produce un eccesso di estrogeni che può favorire inoltre l’insorgenza di svariati tipi di cancro, in particolare al seno e all’endometrio.
Per quanto quindi l’obesità si classifichi come disturbo non trasmissibile, ha molto in comune con le malattie trasmissibili ed epidemiche, a partire dai fattori ambientali e dalla risposta che ad essi il soggetto interessato dà. Nello stesso modo in cui molti disturbi trasmissibili sono stati debellati, con un lavoro di squadra da parte di medici e ricercatori di tutto il mondo si può lavorare per arginare anche l’obesità, ad esempio con il trattamento del sovrappeso infantile, l’educazione ad uno stile di vita sano e prevenzione fin dalla nascita.
La natura recidiva dell’obesità rende necessario un trattamento e un’attenzione continui, anche attraverso l’eliminazione delle barriere che ostacolano la diffusione di una regolare attività fisica.
La Federazione Mondiale per l’Obesità è convinta di poter, con i giusti accorgimenti, riportare sotto controllo quella che a tutti gli effetti è la grande epidemia del mondo moderno.
I dati epidemiologici
La malattia rappresenta il più importante fattore di rischio per malattie cardiache e respiratorie, diabete di Tipo 2, ipertensione ed alcune forme oncologiche. Essa è una condizione in grado di compromettere le funzioni vitali di un individuo e ridurne l’aspettativa di vita.
Il paziente affetto da Obesità, infatti, ha un’aspettativa di vita ridotta di circa il 25 per cento rispetto ad un «normopeso».
La situazione in Italia e nel mondo
In Italia più di un terzo (35,3%) della popolazione adulta è in sovrappeso, mentre poco più di una persona su dieci è affetta da Obesità (9,8%). Nel resto del mondo la situazione è anche più grave: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, infatti, gli adulti in sovrappeso sono 1,9 miliardi, di questi circa 600 milioni sono affetti da Obesità .
I dati i Piemonte registrano che 32 per cento dei piemontesi è in sovrappeso: la percentuale di pazienti affetti da obesità è compresa tra il 9,4 e il 10 per cento, mentre quelli affetti da “grande obesità” sono lo 0,7.
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