Alimentazione moderna

Il progresso rapido e frenetico che ha avuto luogo a partire dal secondo dopoguerra ha cambiato profondamente anche l’alimentazione, intesa sia come processo produttivo che come, nella pratica, ci nutriamo.
Il boom economico degli anni ‘50-‘60  ha creato una condizione di sicurezza alimentare, in cui la quasi totalità della popolazione aveva la possibilità di accedere a del cibo salubre in quantità sufficiente al suo sostentamento. D’altra parte, la crescita demografica, concentrata nelle città, ha richiesto un’accelerazione della produzione, un’intensivizzazione delle colture e un’ottimizzazione della distribuzione, con un graduale abbandono delle attività a gestione familiare e delle botteghe artigiane, ormai non più in grado di soddisfare la sempre maggiore richiesta, a favore di industrie e supermercati che hanno finito per ottenere un effetto opposto, ovvero un’offerta superiore alla domanda.

Il cambiamento del Cibo negli anni

Anche i cibi si sono evoluti: nel momento in cui a tutti sono stati assicurati tre pasti al giorno e non si sono più dovuti affrontare periodi di carestia, le ricette si sono fatte mediamente meno grasse, espediente che prima della guerra veniva utilizzato per rendere più nutrienti e sazianti piatti molto semplici e poveri. Le scoperte in campo medico hanno reso necessari una serie di processi per la messa in sicurezza dei cibi durante la produzione, come la pastorizzazione del latte e la raffinazione di zucchero e cereali. In altri casi vengono operate trasformazioni per aumentare la disponibilità di cibi che altrimenti avrebbero pochi giorni di vita, come l’inscatolamento o la surgelazione di carni e verdure. Non è inoltre da trascurare l’aspetto pratico dei cibi inscatolati o pre-cotti, più veloci da preparare e consumare in un contesto sociale in cui il tempo libero è sempre meno.
I prodotti trasformati perdono sostanze nutritive e sapore rispetto ai loro corrispettivi freschi, ai quali però vengono comunque preferiti da molti consumatori per questioni economiche (le distribuzioni più piccole e artigianali devono mantenere prezzi più alti perché non possono ammortizzare i costi con le grandi quantità), oltre che per le sopraccitate questioni pratiche: vengono perciò spesso addizionati con ingredienti superflui, come sale, zuccheri, esaltatori di sapore, additivi e coloranti, per aumentarne la palatabilità, soddisfare consumatori sempre più esigenti e far fronte alla spietata concorrenza delle decine di prodotti simili immessi quotidianamente sul mercato.
Questi ingredienti aggiunti aumentano l’apporto calorico del prodotto senza migliorarne il quadro nutrizionale: una dieta con una forte preminenza di cibi trasformati industrialmente può pertanto costituire un rischio per la salute, in quanto contribuisce allo sviluppo di sovrappeso, malattie metaboliche e problemi cardiovascolari. Possono inoltre verificarsi carenze di fibre e micronutrienti essenziali per il buon funzionamento dell’organismo ma che mancano nei prodotti industriali. È buona norma, quindi, alternare questi cibi, non dannosi in sé ma problematici se consumati in gran quantità, con alimenti freschi preparati a mano, in modo da controllarne meglio qualità, cottura e condimenti.

Il Cibo negli ultimi anni

Negli ultimi anni si sta diffondendo una crescente sensibilizzazione nei confronti dei danni, sia sulla salute che sull’ambiente che sulle piccole economie, di un’alimentazione iperindustrializzata: si assiste dunque ad una rivalutazione dei prodotti locali e a chilometro zero, del biologico, dell’ecosostenibile ed equosolidale e degli alimenti privi di additivi, per quanto questi ultimi non siano sempre sani e vantaggiosi come promettono.

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